Dopo diversi tentativi di cercare informazioni in italiano sull’argomento senza trovare risultati soddisfacenti, ci accingiamo a tracciare sul nostro tumblelog un panorama sui Jazz Kissa – Jazz Cafè in italiano – , realtà in cui ci siamo imbattuti nel periodo del lockdown, mentre facevamo ricerche sulle nostre passioni di sempre, musica (senza soluzione di continuità) e apparecchiature hi-fi; i due lati di una ricerca che portiamo avanti ormai da tempo immemore, avendo sempre dato maggior rilevanza alla prima, soprattutto quando possibile ascoltata dal vivo (o comunque in situazioni sociali), ma senza mancare di riconoscere al mondo delle attrezzature, oltre che l’importanza della fedeltà di riproduzione rispetto all’esecuzione originale, una sorta di disciplina: il comprare queste sorgenti e il connetterle tra loro bilanciandone le caratteristiche, atta a nobilitare l’ascolto della musica come uno degli atti più elevati compiuti del genere umano (ovviamente dal nostro punto di vista).
I jazu-kissaten si sono diffusi in Giappone già prima del secondo conflitto mondiale, quando nel Paese del sol levante era nata una sorta di mania per il jazz, ovviamente importato dalla madrepatria. Proseguì la crescita di questo tipo di locali negli anni ’50 e ’60, quando il paese stava vivendo un boom economico e culturale. È ormai accertato che il primissimo Jazz Kissa in Giappone sia stato un locale chiamato “Black Bird” aperto a Tokyo nel 1929. E a seguire il Chigusa a Yokohama, nato nel 1933, che è ancora in attività. Si può presumere che il malinteso per cui questi spazi pubblici abbiano preso l’abbrivio nel dopoguerra sia dovuto al pregiudizio che la cultura giapponese sia stata occidentalizzata dall’occupazione e dal dominio degli Stati Uniti dopo il secondo conflitto mondiale.
L’apertura di un locale di questo genere, aveva uno scopo analogo a quello che avveniva in alcuni dei bar nostrani sempre nello stesso periodo, quando veniva collocata la televisione nella sala, a beneficio di tutta la clientela che non disponeva ancora di quest’apparecchiatura presso la propria abitazione. Anche qui, nei Jazz Kissa degli esordi, l’installazione di un impianto ad alta (altissima talvolta) fedeltà, con l’utilizzo frequente di componenti di importazione inglese e americana dalle dimensioni spesso colossali degli altoparlanti e dei poderosi valvolari, serviva a fornire agli avventori un’esperienza di ascolto impensabile da raggiungere nelle proprie abitazioni private. Questi locali erano spesso frequentati da appassionati di musica jazz e si caratterizzavano per un’atmosfera intima e rilassata. L’arredo veniva viceversa quasi lasciato al caso, vi si trovavano spesso vecchi mobili all’interno, lasciando quasi intendere che il gestore che apriva o prendeva in gestione un locale, lasciasse i mobili come li trovava (anche se una certa aria frugale era pur ben studiata dal profilo dell’estetica e del comfort), occupandosi solo dell’atmosfera musicale da offrire ai clienti e di inserire e successivamente incrementare una collezione di dischi più ampia possibile. Anche le consumazioni erano piuttosto limitate, offrendo molto caffè filtrato, the, sakè e whisky.
In occidente vi è stato un degnissimo omaggio a questi luoghi, salvo l’aver utilizzato un approccio figlio della nostra differente spiritualità alla fine nel creare la nostra versione, i listening bar, e aver dato un taglio a questi locali molto trendy, ma che si pone rispetto all’umiltà e alla semplicità dei Jazz Kissa originari, come a una sorta di franchising dei jazz cafè, con studio dell’arredamento interno e integrazione delle periferiche nell’arredo generale, come solo potrebbe venire in mente a una persona intrisa del nostro evoluto ma al tempo stesso discutibile concetto del bello. Ne parliamo su uno specifico articolo.

Una delle iniziative che ci sono maggiormente piaciute è quella della pubblicazione, a seguito del viaggio di un editore giapponese, tal Katsumasa Kusunose, assieme alla fotografa Irene Yamaguchi; i due hanno compiuto un tour della nazione a caccia delle realtà più gloriose e caratteristiche nel 2014/5, facendo uscire in sequenza tre volumi fotografici che potremmo definire senza timore commoventi e di cui trovate i riferimenti in bibliografia.
Spendiamo adesso due righe sui brand delle attrezzature musicali: a farla da padrona sono i pre-amplificatori e i finali Mc Intosh, mentre i trasduttori preferiti erano e sono Klipsch, Tannoy, Electro Voice, JBL e Altec Lansing. Per le apparecchiature giapponesi spuntano su tutte Onkyo e Technics, quest’ultima di fatto la scelta obbligata per i giradischi utilizzati nei Listening bar (occidente), mentre in Giappone paradossalmente si utilizzano da sempre sorgenti occidentali, su tutte Garrard, Thorens e il non plus ultra, l’EMT. Spiacevolmente, tocca osservare che uno dei marchi più gloriosi del mondo dell’elettronica giapponese, la Vestax, non è ancora entrato ne nei Jazz Kissa (posto che sarebbe difficile, dato che è nato attorno al 1977 per produrre prevalentemente attrezzatura da disk-jockey), ma nemmeno in occidente risulta ancora utilizzato, almeno nei locali più celebri. Confidiamo che prima o poi una Mixstation AA-88 entri di diritto in qualche listening bar trovando un meritato trono tra due piatti a trazione diretta.
Come al solito chiediamo ai nostri lettori di pazientare. Con la stessa dedizione discreta, serena, per quanto possibile disciplinata, come quella dei gestori dei gloriosi jazz kissa, torneremo a integrare questo articolo nei prossimi giorni e mesi, inserendo ulteriori descrizioni, riferimenti a locali leader nel settore, testi e siti in bibliografia e qualche video che possa darvi l’idea dell’atmosfera che si respira in questi locali.
Se aveste domande, sia strettamente sui Jazz Kissa, sia sulle elettroniche che sulla musica qui suonata, non esitate a contattarci, in questa materia siamo senz’altro tra i massimi esperti mondiali (tra i pochi a possedere i reportage di Kusunose in Italia, crediamo)!
Keep in touch!
In chiusura di questo articolo ci sentiamo di fare una dedica alla memoria di un musicista giapponese mancato proprio nei giorni in cui ci accingevamo a prepararlo: Ryūichi Sakamoto. Ponte musicale tra Paese del Sol Levante e occidente cui sicuramente tutti i proprietari e avventori di questi locali in Giappone saranno come noi colti da grande commozione. Musicista che per la sua storia meriterebbe nelle nostre pagine un articolo a se stante, che speriamo di poter stendere nel prossimo futuro.
Bibliografia:
https://insheepsclothinghifi.com/tokyo-jazz-kissa/
Il sito giapponese che mappa la presenza sul suolo nipponico dei Jazz Kissa:
Due saggi del sociologo americano Ray Oldenburg circa l’utilità di ambienti sociali in territorio “neutrale” dove trovarsi tra paesani o abitanti di un certo quartiere in maniera informale, senza darsi appuntamento, costruendo relazioni magari basate su un interesse comune, dal cui titolo del primo volume, evidentemente convinti degli argomenti parecchi gestori, è stato dato il nome “The third Place” a un nutrito numero di locali in occidente:
The third place – Ray Oldenburg
The great good place – Ray Oldenburg
Il sito dove trovare – in giapponese – informazioni sui volumi fotografici sopra citati (fuori catalogo a oggi):
Gateway to jazz Kissa Vol. 1 – Katsumasa Kusunose / Irene Yamaguchi
Gateway to jazz Kissa Vol. 2 – Katsumasa Kusunose / Irene Yamaguchi
Gateway to jazz Kissa Vol. 3 – Katsumasa Kusunose / Irene Yamaguchi
Il sito del progetto Tokyo Jazz Joint, dove al termine di una ricerca di due appassionati europei, Philip Arneil, fotografo e James Catchpole (a.k.a. Mr OK Jazz), scrittore, è stato edito anche un loro libro fotografico grazie a un progetto di fundraising, in vendita in questi mesi, e a quanto pare già alla seconda edizione:
Infine, poteva mancare un film (nello specifico un documento-film) sui Jazz Kissa?! No, e peraltro anche questo è un prodotto appena uscito, a dimostrare l’interesse attuale su questo argomento e la contemporaneità di questo articolo. Dopo varie ricerche abbiamo constatato l’indisponibilità, a oggi, almeno in Italia, però in rete c’è un video in due parti dell’intervista tra Isashi Tanaka, giornalista audio e il proprietario del locale, Shoji Sugawara sulle testine che quest’ultimo è andato nel tempo sviluppando, che andiamo a pubblicare qui sotto a beneficio dei nostri lettori. Anche questa mezz’ora (in totale tra i due video) di conversazione possiamo dire sia molto indicativa dell’approccio “jazu kissaten”!
Forse dopo tutta questa conversazione qualcuno di voi sarebbe curioso di vedere la testina di cui parlano, eccola, e se volete potete pure (finché sarà disponibile) comprarla su eBay:

Un saluto a chi ci ha seguito fin qui!
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