Vite difficili

Questa sera, a breve distanza da un evento che definirò “epocale”, volendo dargli una connotazione positiva, ma in realtà uno dei momenti più duri e difficili della mia vita, voglio condividere qualche pezzo della mia biografia e ritengo che questo sia il posto adattissimo! Non sono qui con scopi narcisistici di grandi volumi di lettori, non chiedo pareri entusiasti di nessuna specie, anzi sono consapevole che vado a scrivere qualcosa di amaro e senza lieto fine, ma mi piace pensare che dentro a questo tumblelog qualcuno, grazie a qualche parola chiave o forse grazie a qualche aspetto ancor più legato alla sola serendipità, potrà trovare una vicinanza di dolori e un momento di empatia letteraria, buona a farlo sentire meno solo.

Sto per raccontare un po’ della mia vita familiare passata decenni in compagnia di una sorella maggiore (abbastanza regolare, almeno lei, anche su ultimamente un filo smartphone-dipendente) e a due genitori, buoni (buoni veramente?!) ma fortemente colpiti da malattie psichiche mai del tutto diagnosticate, giustificate e curate.

Non essendo uno psicoterapeuta ne tantomeno uno psichiatra, non potrò descriverle scientificamente ne dargli il giusto nome, anche se in parte, durante i tardi sviluppi della nostra storia familiare, mia madre è passata sotto l’osservazione di uno psichiatra.

Mio padre è scampato a questo supplizio, gente degli anni ’30 dello scorso secolo i miei, generazioni per cui andare sotto la lente di uno specialista della materia era già un’onta in se, e credo rimandasse a paure antiche, degli anni pre-legge Basaglia, in cui magari una volta trovata anche solo una traccia di un semplice “esaurimento nervoso” (così chiamavano all’epoca la depressione), rischiavi di finire chiuso dentro a un “manicomio” (antiche strutture di “cura” psichiatrica).

Perciò non saprò mai quale fattore o malattia avesse originato quella stranissima, odiosa abitudine (anzi, patologia, probabilmente una forma di schizofrenia) di parlare continuamente da solo in maniera rabbiosa contro vari nemici ipotetici, tra cui mia madre, e altri conoscenti, in cui evidentemente vedeva tutte persone pronte ad attaccarlo. Ho anche fatto qualche ricerca in rete, ma stranamente questo problema non trova uno straccio di definizione nel mezzo in cui siamo ormai abituati a trovare risposte a qualsiasi domanda.

Non so se sia immaginabile per chi non abbia avuto un caso del genere tra i parenti, la vergogna che si prova da bambini mentre si è costretti a presentarsi in quasi tutte le occasioni in compagnia di una persona che da spettacolo in questo modo pietoso. Inoltre, credo sia altrettanto inimmaginabile la pena che si prova allo stesso tempo per una persona, sante del tuo sangue, che sta soffrendo di una situazione del genere pur essendo in tantissime cose un uomo validissimo: ho il vago ricordo di avergli provato a parlare disperato di questa cosa, ma ricordo le risposte evasive e piuttosto rabbiose che mi venivano date quando tentavo di trattare il problema.

Mia mamma invece aveva altri problemi, forse ancora più subdoli: al di là di essere completamente incapace di gestire le sue sostanze, credo mentalmente pressata anche lei dall’essere persuasa di non essere all’altezza del suo patrimonio, dava poi sfogo ad elementi educativi mal assimilati (e forse mal insegnati) per cui ad esempio stipava qualunque cosa avesse in passato acquistato, più anche oggetti di altra provenienza dentro casa, probabilmente persuasa che le sue poche capacità e attitudini l’avrebbero probabilmente resa bisognosa in futuro di attingere da queste “scorte” messe da parte nel tempo. Di questa malattia ho trovato il nome in rete: viene definita disposofobia (letteralmente “paura di disfarsi delle cose”).

Ma la lista delle problematiche e delle cose in cui si rendeva debole e ridicola agli occhi degli altri è ancora molto lunga, per descrivere tutto credo dovrò tornare all’articolo più volte e completarlo man mano che mi vengono in mente le tante défaillance occorse a mia madre negli anni.

Possiamo introdurre qui, per poi proseguire più agevolmente, le patologie trovate dallo psichiatra, quando in occasione del tentativo da parte di noi figli di interdirla dal compiere ulteriori danni al proprio patrimonio oltre a quelli già compiuti in passato, siamo riusciti dopo tanti anni in cui, pur – ripeto – non essendo dei professionisti in materia, un po’ di intelligenza, di intuito e di cultura ci ha permesso di sospettare che quelle di nostra madre non fossero soltanto cattive abitudini, ma vere e proprie problematiche psichiche da trattare terapeuticamente.

Il dottore che l’ha visitata per la prima volta da questo punto di vista qualche hanno fa ha diagnosticato dei “deliri paranoidei” e delle “turbe ideative”, oltre a l’incorrere a quel punto della sua vita dell’inizio di una più ricorrente demenza senile.

Uno dei punti che voglio mettere alla luce, è che persone di questo tipo, non così rare in società, se non vengono costrette in qualche modo ad essere visitate, possono rimanere inserite all’interno delle proprie famiglie in qualità di “capi” di un nucleo familiare, con la possibilità tutt’altro che rara di influenzare negativamente il/la partner e ancor peggio i figli nel loro sviluppo personale, nonché nelle molteplici attività della vita, dalla crescita allo studio, dalla formazione della personalità e della propria immagine nella società.

Siamo arrivati all’opposto dell’era pre-legge Basaglia, per cui allora si attribuiva l’onta della follia con una certa disinvoltura e si passava altrettanto rapidamente a cure particolarmente drastiche. Si dice che una volta capitasse anche solo a semplice delazione che un individuo venisse recluso in manicomio e magari gli venissero praticate “terapie” come l’elettroshock con una certa facilità, ma dalla legge Basaglia appunto, in Italia c’è una sorta di difesa dell’individuo, per cui se il singolo non decide di dichiarare la propria difficoltà, gli altri di fatto non possono intervenire, salvo che il soggetto non sia un minore e a interessarsi non siano i genitori. Come la prima situazione era dannosa, a mio livello anche il suo attuale opposto crea dei danni incommensurabili alla società, con persone affette da patologie, libere di danneggiare se e il prossimo in svariate maniere, che qui sarebbe impossibile esemplificare.

Al termine di questo resoconto, non ho grandi consigli da dispensare, io stesso non so come ho fatto a rendermi immune da questi problemi dei miei genitori, ne se lo sia effettivamente del tutto. Uno dei più grandi aiuti me l’hanno dato loro, in particolare mio padre, facendomi prendere passione per lo studio. Forse era consapevole che una parte dei suoi problemi e di quelli di mia mamma, derivavano da un deficit educativo maturato all’interno di famiglie povere che non li avevano fatti studiare, anche se a dire il vero tutta quella generazione cresciuta nelle periferie non aveva avuto mediamente a quanto ne so accesso allo studio, senza che tutti i coetanei dei miei abbiano sviluppato questi spaventosi limiti al proprio sviluppo che hanno subito i miei. Cosa li abbia schiacciati in particolare è un mistero che cercherò di risolvere negli anni, se i parenti riusciranno a darmi una mano, ma che credo rimarrà almeno parzialmente irrisolto.

Cosa che mi provoca un grande dispiacere, perchè dietro a questa massa di problemi e di dolore, c’erano due persone valide, forse accomunate dall’essere di base intelligenti e fin troppo sensibili, schiacciati probabilmente dalla mancanza di opportunità di sviluppare il loro potenziale.

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