Sono i giorni ideali per raccontare un film che è perfettamente nelle corde di questo tumblelog: misterioso, disturbante, per nulla popolare e soprattutto (proprio fino a oggi) introvabile!
Anche avendo voluto, non avrei potuto pubblicarne prima un articolo, in quanto solo nei giorni scorsi sono riuscito a vederlo grazie a una fortuita triangolazione con appassionati di cinema e col regista stesso, dopo anni di frustrantissime ricerche, da quando avevo scoperto un aspetto parecchio interessante sulla trasposizione cinematografica del racconto di Arthur Schnitzler, “Doppio sogno”, che credo anche la maggior parte di chi si imbatterà in questa recensione non sarà a conoscenza:
quest’opera infatti è venuta a notorietà dopo essere stata associata al film “Eyes wide shut” del regista Stanley Kubrick alla fine degli anni ’90.
Personalmente allora ero un fan sfegatato del regista, ogni suo film, non solo quelli più facili come “The shining” o “Full metal jacket” mi appassionavano, ma perfino i più vecchi, come “2001, odissea nello spazio”, “Arancia meccanica”, “Barry Lyndon”, “Orizzonti di gloria” o “Il dottor Stranamore” trovavo fossero meravigliosi.
Tutta questa carriera fantastica, associata a un pregiudizio “al contrario” di cui soffriamo più o meno tutti, cioè che il cinema atlantico in generale sia bellissimo e insuperabile, mi fece rimanere sorpreso quando venni a sapere anni fa che del romanzo di Schnitzler fossero già state fatte due trasposizioni cinematografiche, e sorpresa nella sorpresa, tutte e due italiane!
Una si intitola “A un passo dall’aurora”, del 1989 per la regia di Mario Bianchi, di cui andrò prima o poi a tracciare un commento, ma la prima in assoluto è la pellicola qui in oggetto, adattata e diretta nel 1983 da Beppe Cino, regista italiano ormai di fama consolidata, con all’attivo decine di film, con diversi riconoscimenti ottenuti in tutte le principali manifestazioni cinematografiche italiane e con collaborazioni sia con la Rai che con Mediaset.

Ebbene, per gli strani destini dell’arte, una pellicola come questa, che potrebbe e dovrebbe essere oggetto di forte interesse se non di venerazione almeno in patria, è pressochè ignota al pubblico (salvo per i fortunati che hanno avuto la possibilità di vedere il film ai tempi della distribuzione nelle sale cinematografiche) e fino a oggi impossibile da reperire.
In una sorta di incredibile sincronicità junghiana, appena passata da tre giorni la stesura di questo articolo, la Tetrovideo ha per la primissima volta reso disponibile il film in DVD, perciò andando sul sito dell’editore lo potete prenotare.
Ma andiamo a raccontare qualcosa del film adesso. La trama grosso modo la conosciamo, una agiata coppia borghese con una figlia piccola, trasportata dalla noia della routine, attraverso i due personaggi del “misterioso” Orlok e della “punk” Patty precipita in un viaggio nel proprio inconscio, scoprendo, con terrore talvolta, come accade negli incubi di ognuno, gli aspetti più terribili e perversi dei sogni che covano nel loro profondo. Da un’ambientazione della vita reale condotta a Roma, le vicende oniriche del film trovano come sfondo il suggestivo borgo medievale di Civita di Bagnoregio, ove le vicende dei tre, della misteriosa Patty e dell’inquietante nocchiere Orlok (interpretato da Piero Vida) si incrociano ripetutamente fino all’auspicato finale.

Dico auspicato, da un canto perché come sappiamo dalla più nota pellicola di Kubrick il desiderio di trasgressione che ammanta l’opera alla fine si ricompone per lasciare la coppia protagonista a un sentimento di amore reciproco più maturo e consapevole, dall’altro perché il film gode di un’ottima tensione narrativa, come ricordo fosse piuttosto ricorrente nel cinema italiano dell’epoca, nonché negli sceneggiati Rai, tensione che mi pare essere andata progressivamente affievolendosi negli anni lasciando il posto ad altri tipi di emozioni più blande. Al termine di questo precipitare della narrazione però, come al termine di un’aria musicale impetuosa, anche lo spettatore è lieto che gli eventi si ricompongano.
Tra gli aspetti che più mi sono piaciuti sono la connotazione della femme fatale dell’opera, l’affascinante Patty, nelle poche note esistenti in rete su questo film, sovente definita “punk” per la personalità un po’ rokkettara del personaggio, dal punto di vista sia del look, sia di come è caratterizzato il suo appartamento, da poster di gruppi rock e punk molto in voga all’epoca del film (AC/DC e Sex Pistols), nonché, nota a margine, dal bel manifesto della mostra dal titolo “Decalogo” dell’artista napoletano Lucio Del Pezzo, avvenuta qualche anno prima dei fatti raccontati a Roma. Decisamente una ragazza di cui chiunque si sarebbe invaghito e di cui anche il protagonista Nicholas (interpretato dall’ottimo Paolo Bonacelli) viene sedotto, nonostante anch’egli come il protagonista del remake di Kubrick (la coppia venne interpretata dagli allora coniugi Cruise-Kidman) abbia una bellissima moglie, Monika (Mirella D’angelo) e un’adorabile figliola, Lola (Lola Ledda).

Ma l’aspetto che rende veramente sorprendente la visione di questo film è il ritrovare perfettamente tratteggiati i personaggi e le ambientazioni di questa prima versione (l’appartamento dal gusto borghese dei protagonisti, il negozio di costumi con il suo misterioso proprietario, e la sede della festa in maschera) rispetto a come sono stampati nella memoria dei tanti di noi che hanno visto il successivo adattamento di Kubrick, con l’unica differenza che in quest’ultimo caso la storia si svolge a New York, mentre nella pellicola di Cino siamo in Lazio (anche per la versione intermedia di Bianchi la cornice scelta è suggestiva, lì è stata utilizzata Venezia come set).
Vi lascio al trailer dell’opera, che spero assieme a questo articolo, vi facciano mettere la pellicola di Beppe Cino in cima alla lista dei film da vedere: