Neorealismo e costume italiano contemporaneo

Tutto il neorealismo vuole spiegare la società con ambizioni di “verità”, il film che presentiamo oggi si concentra (in modo laterale) su uno specifico aspetto, piuttosto legato ai temi del tumblelog, quelli sulla musica, i club, gli anni ’80 e successivi e i movimenti giovanili più recenti.

La pellicola in questione è: “San Babila ore 20: un delitto inutile”, uscita nel 1976 per la regia di Carlo Lizzani:

Narra le vicende di un gruppo di giovani neofascisti nella Milano degli anni ’70. La trama non la anticipo, segnalo solo che ha origine da un fatto di cronaca allora appena accaduto, era il 1975: l’uccisione dello studente-lavoratore Alberto Brasili e il ferimento della fidanzata Lucia Corna. Sottolineo inoltre la pregevole colonna sonora a cura del leggendario Ennio Morricone e una godibilità di visione ancora ottima oggigiorno, grazie alla pellicola in perfetto stato (sembra appena girato) e ai begli scorci meneghini a fare da scenografia.

L’aspetto interessante, al di là delle vicende narrate, è l’analisi di questo spaccato della Milano degli anni di piombo, precedente a quella che sarebbe divenuta la “Milano da bere”. Vedendo aspetti esteriori dei personaggi e luoghi citati, iniziamo a orientarci in questi tempi e questi luoghi e a collegare la successiva sottocultura dei paninari (così chiamati perchè il primo nucleo frequentava il Bar “Al panino” in via Agnello, nei pressi del Duomo) all’interno di questa cornice. Ecco che quello che si era sempre detto laconicamente, che i paninari erano “dei fascistelli partiti dalle parti di San Babila” inizia ora, alla luce delle scene del film a prendere forma. Vediamo che già i protagonisti della storia vestono accuratamente, che alcuni elementi trovano un certo legame con lo stile dei paninari (la parte di abbigliamento “militare” tipo i bomber e gli occhiali da sole avio), insomma diventa lampante come i secondi fossero i fratelli minori dei primi, con la principale differenza appunto che i primi sono i figli degli anni ’70 e perciò politicizzati, i secondi degli anni ’80 e perciò votati al disimpegno (rispetto alla politica come all’arte e a qualsiasi manifestazione della cultura).

Se vogliamo fare una comparazione dello stile, si diceva alcuni elementi sono accomunabili, altri presentano comunque una evidente continuità. Ecco che se i primi avevano in generale una cura per il “look” forse più datata, ma sempre molto attenta, i secondi tengono qualche capo ma evolvono fintamente verso uno stile più “popolare”. In realtà correttamente andrebbe chiamato pop (in riferimento diretto al genere musicale), in quanto di realmente ‘popolare’ altrimenti c’è solo la facciata; i polacchini Timberland, mediati teoricamente dai lavoratori americani, costano come i mocassini spazzolati dei giovani di “San Babila ore 20”, il Moncler di origine sportiva in realtà è un raffinato piumino che costa di più di un cappotto, l’abbigliamento da “vaccaro” della El-Charro costa di più dei completi aziendali. Ecco che a Milano, negli anni ’80 più capitale della moda che morale, nasce un nuovo stile proibitivo, dove costosissimi capi “pop” vengono portati dai figli della borghesia cittadina riconducibili alla destra sanbabilina. Anche i mezzi di trasporto mirano all’iconografia del film. Nelle immagini vediamo una Citroen Mehari e una piccola motocicletta “Motobecane”, successivamente i paninari ameranno più di ogni altro le Jeep Renegade e le piccole motociclette tedesche della Zundapp. Rimane perciò la voglia di mezzi che comunichino uno stile easy e privo di esigenze professionali o familiari.

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Così il primo passo. Interessante è vedere brevemente l’evoluzione dello stile almeno fino ai primi ’90, quando il look paninaro evolverà nel genere che possiamo definire “post-paninaro”, dove al Moncler e ai jeans El-Charro si sostituiranno i giubbotti iper-tecnici di Stone Island e C.P. Company e i jeans di un marchio-meteora ideato dal gruppo svizzero Jet-Set con sede a Saint Moritz (ma prodotti in italia), la Blue System, ottimo ponte tra lo stile paninaro e uno più “acido”, buono per i club house che avrebbero di lì a poco iniziato a frequentare i nuovi teen-ager. Alle Timberland, Sisley-Divarese, agli stivali Durango e alle Paraboot (assieme ai succitati Stone Island e Blue-System, l’abc dello stile ultras anche per gli anni a venire) si sostituiranno prima le londinesi Dr. Martens, poi le più “acide” Palladium. L’altro big player che in quegli anni è diventato protagonista assoluto, in parte grazie a una ‘militanza’ coerente durante i primi lustri della propria esistenza, ma soprattutto sull’onda di una campagna pubblicitaria tra le più riuscite che si ricordi è stata la Diesel di Renzo Rosso.

In particolare la linea premium  denominata ‘Old Glory’ all’epoca faceva impazzire gli addetti ai lavori (ricordo ancora la mia esperienza personale: dopo averne acquistato un paio in uno store ‘Prima Visione’, catena del nord-est rivolta al pubblico delle discoteche, ricevevo attenzioni e complimenti da parte dei commessi di qualsiasi negozio in cui entrassi) e se la vedeva per qualità, e prezzo a dirla tutta, direttamente con i Jet Set!

Il più importante cambiamento forse è nei colori e nei “disegni”, spariscono infatti colori fluo e loghi iperdimensionati per dar spazio a colori e etichette più sobri, preludio ad una moda che di lì a poco sarebbe rientrata nell’ambito cosmopolita e non rivolta allo specifico pubblico adolescenziale, vedi le nuove generazioni di stilisti dell’ultima decade del ‘900, Dolce & Gabbana, Dirk Bikkembergs, Comme des Garcons, W & L. T., etc…

Matrice comune di questo universo giovanile è l’edonismo, il disimpegno politico e culturale, per cui non si è mai visto nascere da questi ambiti nessun movimento artistico o politico. La cultura è stata confinata in quegli anni nel mondo – non troppo prevalente – dei giovani di sinistra che con uno stile estetico meno maniacale (anche se contenente anch’esso i propri codici, potremmo dire la propria semiotica) e con meno protagonismo nella vita cittadina, orbitavano piuttosto che nelle piazze e nelle discoteche, nei centri sociali e nei collettivi artistici.

E dopo questo piccolo excursus sociologico e di stile nell’Italia di fine millennio, buona visione, sempre auspicando una lunga durata del video!

I paninari (…) ponevano al centro della loro filosofia il prestigio del marchio indossato e la griffatura totale della persona. La loro filosofia era mod nel senso di radicalmente modernista, ma miscelata con l’edonismo anni ’80, l’americanismo alla Rocky Balboa e un fascismo latente, mai sopito nella società italiana.

Danilo Venturi – Luxury Hackers. Lindau editore

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4 pensieri su “Neorealismo e costume italiano contemporaneo

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